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Dal 2019, il mondo è cambiato e il tempo, veloce, è stato cadenzato da una molteplicità di avvenimenti epocali.
Le logiche socio-economiche dovute a situazioni geopolitiche imprevedibili e circostanze climatiche avverse hanno portato nel settore dell’agroalimentare italiano la genesi di nuovi trend, influenzati anche da un cambio generazionale, da nuovi stili di vita e comportamenti d’acquisto.
Il cambiamento è diventato una nuova dimensione che si pone in modo stabile tra online e offline, e saperlo interpretare diventa chiave per cogliere nuove opportunità e rispondere in modo coerente e distintivo alle aspettative dei consumatori.
Lo scorso ottobre, all’evento Netcomm Focus Food, nella sessione curata da Alpenite “Sfide e opportunità nel food in uno scenario dinamico” abbiamo cercato di stimolare il punto di vista e le iniziative spinte dall’utilizzo dei canali digitali intraprese da Cameo e Marchesi Mazzei, rispettivamente rappresentate da Angela Barison, Head of Digital, e Lapo Mazzei, Retail & Direct Business Director. I trend e gli insight osservati dall’Agrifood Management e Innovation Lab dell’Università Ca’Foscari di Venezia, sono stati invece forniti da Vladi Finotto, Co-founder & Researcher della stessa.
Ecco una sintesi dei punti di vista, dei trend e degli approcci emersi.
Alpenite per Mazzei: “Costruire uno storytelling online per prodotti emozionali come il vino è una sfida che si può vincere? E quali sono gli ingredienti chiave?”
Lapo Mazzei: “È una delle sfide più interessanti e allo stesso tempo complicate di questo periodo. Il digitale ci ha permesso di intercettare un numero di clienti effettivi e potenziali gigantesco, anche al di fuori dei confini nazionali. Il vino è particolare e prima della pandemia era percepito come un prodotto per soli appassionati ed estimatori, accompagnato da una comunicazione molto tecnica, a volte addirittura faticosa o troppo sofisticata. Per noi alleggerire la comunicazione con l’obiettivo di arrivare a una platea più ampia creando contenuti dal mix tecnico-emozionale è stato fondamentale. Il video tasting, ad esempio, è un fenomeno che la pandemia ha fatto esplodere, ma che ci ha permesso di scoprire una nuova categoria di consumatori.”
Alpenite per Cameo: “Il trend direct to consumer è stato accelerato dalla pandemia. Quanto prevalgono gli obiettivi di branding ed engagement rispetto alle conversioni nella strategia digital di Cameo?”
Angela Barison: “Si fatica a dire quanto sia engagement e quanto drive to consumer, ovviamente dipende dalla fase del funnel. Quel che è certo è che, in ogni momento, le persone chiedono o si interessano a qualcosa, indipendentemente dal brand. Noi, come Cameo, andiamo a inserirci nella quotidianità delle persone, ma ciò che influisce è cosa stanno cercando. Se un consumatore è in fase di ricerca, cerchiamo di costruire un messaggio che faciliti la conversione. La relazione tra l’industria di marca e il retail diventa centrale, altrimenti sarebbe complesso lavorare in termini di obiettivi di business. Non crediamo che l’unica vera risposta sia disintermediare la relazione attraverso uno strumento di business come lo sviluppo di un eCommerce. A tal proposito, Cameo prende una serie di iniziative che facilitano la relazione diretta con le persone, e non necessariamente iniziative dirette alla vendita. Dipende dal prodotto, dal momento, dal momento dell’anno, dal semestre o trimestre d’appartenenza”.
Alpenite per Ca’ Foscari: “Il digitale si pone come dialogo con il cliente e strumento di visibilità di marca. Quali sono gli approcci prevalenti delle aziende che emergono dalla vostra ultima ricerca?”
Vladi Finotto: “Noi, dal 2019, monitoriamo una popolazione di imprese del food, il vino invece ha fatto dei passi in avanti prima rispetto all’agroalimentare italiano. Osserviamo un campione rappresentativo di 550 PMI del nordest, realtà che hanno dai 10 ai 250 dipendenti. Con i valori economici, abbiamo un panel di 517 aziende, dal valore mediano di fatturato di 6,17 e, a parte alcuni outlayer, i valori massimi si aggirano attorno ai 200 milioni. Ci interessa vedere come si approcciano al digitale, perché rappresenta uno strumento importantissimo per la crescita e per la realizzazione del capitale. Tuttavia, se guardassimo i dati, l’agroalimentare italiano oggi è composto da 56.000 aziende, ma solo 50 di queste realizzano il 32% del fatturato complessivo del comparto e fanno oltre la metà dell’export. In altre parole, esiste un pulviscolo di medie e piccole aziende con prodotti di grandissima qualità, anche nel processo, che hanno qualcosa da raccontare e ci interessa capire come si stanno avvicinando e come adottano gli strumenti digitali. Questo campione d’impresa del Made in Italy agroalimentare, al digitale, in chiave front-end, ci si è avvicinato.
Il covid è stato un trigger importante. Se nel 2019 avevamo una sacca rilevante di aziende che non possedevano lo spazio owned più semplice ovvero, il sito web, nel 2022 l’80% vi è approdato. Anche l’approccio ai social viene ora presidiato. Molto spesso ci si affaccia però senza avere ancora competenze, ma è nostro compito aumentare la sensibilità e capacità di creare contenuti. Il cibo oggi, soprattutto quello italiano, è un asset che il mondo vuole, ma è sottoposto a una serie di insidie. Qualche giorno fa c’era il World Pasta Day, però ogni giorno un prodotto come la pasta è demonizzato perché il carboidrato ci fa ingrassare. Il plant-based sembra essere il grande trend di mercato, così come la produzione zootecnica che ha qualità da vendere, che in un mondo che non riesce a raccontarsi bene rischia di essere vittima di narrazioni che possono metterla fuori mercato. La responsabilità di molte aziende è di raccontarsi, parlare e ingaggiare le comunità di consumo intorno alla cultura del cibo e poi al proprio brand. I passi da fare sono quindi creare contenuti specifici conferendo continuità, pianificazione e coerenza con una certa circolarità servendosi di competenza e aziende che possano supportare il potenziale da esprimere”.
Alpenite per Mazzei: “Qual è il livello di accessibilità incontrato nell’abilitazione di processi complessi come l’e-commerce e qual è il ruolo dei partner?”
Lapo Mazzei: “Noi siamo una piccola azienda e investire nel digitale ha dei costi elevati. È una scommessa che richiede una pianificazione ampia e che richiede investimenti consistenti. Il mondo del vino è diventato un mondo ricettivo, perché l’esplosione dell’enoturismo è un elemento fondamentale per intercettare nuovi clienti da fidelizzare attraverso lo strumento digitale, con cui si rimane in contatto. La nostra sfida è stata l’integrazione. Riuscire quindi a integrare una piattaforma che avesse la funzionalità di un eCommerce di costruire un programma di loyalty per fidelizzare i clienti, e unire tutto questo all’opportunità di essere una piattaforma di booking engine. Tutto questo ha richiesto uno sforzo a livello tecnico e il coinvolgimento delle persone, per arrivare al compimento di una strategia che prevede l’integrazione dell’esperienza online con quella offline. I costi di avvicinamento di un utente solo online sono elevati; quindi, cerchiamo fortemente di sviluppare quel canale, e di valorizzarlo nell’ambito ricettivo per portare un contatto specifico a essere parte di una visione futura”.
Alpenite per Cameo: “Qual è l’impatto della digital adoption da parte dei consumatori nel successo legato alle iniziative digitali di brand come Cameo con un business prevalentemente basato sulla GDO? Cosa avete e state osservando?”
Angela Barison: “In Italia è complicato. Una ricerca Nielsen ci dice come siano i nostri consumatori omnicanale in Italia e come nel largo consumo il nostro settore sia quello più in difficoltà. Perché accade? Perché il largo consumo è l’Italia stessa. Il nostro paese è sotto benchmark in quello che viene chiamato indice di Desi, che misura quanto siamo alfabetizzati dal punto di vista digitale. Come Cameo, con 24 milioni di famiglie in Italia, siamo vicini al mercato stesso e lo vediamo nei servizi che andiamo a realizzare e nei modi in cui le persone interagiscono. Questo perché, se il 60% delle persone non è digitalizzata, nel momento in cui Cameo promuove un’iniziativa di engagement è come regalare un calendario con le ricette realizzate dai pasticceri. Richiedere questo calendario è complicato, non per noi, ma per il consumatore non digitalizzato che chiama il customer service perché non sa come ottenerlo. È successo anche durante il covid. Ci serviamo dello strumento digitale per facilitare la relazione con chi è digitalizzato. Dall’altro canto, abbiamo mantenuto i processi naturali perché più la popolazione invecchia, più ha bisogno di ulteriore supporto. Come aziende, ma anche come università e aziende di consulenza non possiamo perderci questo dato, il nostro paese ha bisogno della digitalizzazione. Cameo ha dei programmi di digitalizzazione interni e continua a investire per aiutare chi lavora perché tutta la nazione possa trarne beneficio”.
Alpenite per Ca’ Foscari: “Quali sono i fattori critici di successo per le aziende dell’agri-food Made in Italy nell’affrontare iniziative di progetti digitali rivolti al business che avete osservato?”
Vladi Finotto: “Le regolarità che abbiamo incontrato hanno a che fare con dimensioni organizzative strategiche. Abbiamo visto che le aziende che hanno un profilo sia di presenza digitale front-end più maturo sia di adozione di tecnologie back-end hanno fatto iniezione di talenti e competenze portandole in casa.
Un altro fattore è l’empowerment dei giovani e il segnale che dà il leader. Quando l’attenzione di chi guida l’azienda segnala di credere nell’investimento digitale, si genera tensione in tutta l’organizzazione. Se invece un progetto interessa poco, allora anche l’azienda stessa ci crederà poco.
Un terzo fattore è l’importanza degli attori nell’ecosistema. Abbiamo un sistema industriale, e il food non fa eccezione, che non può inglobare tutte le competenze. Oggi il cambio di passo lo si fa con agenzie e società di consulenza che sappiano davvero leggere i need delle aziende e che abbiano non solo competenze, ma anche servizi sul comparto. Faccio un invito a chi fa questo lavoro: verticalizzate la competenza sulla pratica di settore.
Anche la pianificazione è un punto importante per il digital. Lo sappiamo, i piani non sempre rispecchiano la realtà, e vanno cambiati, ma la pianificazione dà idea della rotta da percorrere e assegna importanza e valore all’investimento digitale, e non genera quel seguito a livello organizzativo che poi fa succedere le cose. La vetrina è un conto, ma il processo che sta dietro se non è sincronizzato, porta ad un grande fallimento.
Infine, sviluppare la sensibilità verso il dato. Le aziende sono immerse in flussi di dati di cui si interessano poco. La cultura della valorizzazione del dato, prima ancora della capitalizzazione, entra nell’interazione con il mercato. Ad oggi è una cultura che va costruita e la responsabilità sta a noi come aziende e università.
Alpenite in chiusura per Mazzei: “Che ruolo hanno i grandi portali dedicati al vino per realtà storiche come Marchesi Mazzei?”
Lapo Mazzei: “I marketplace hanno un ruolo fondamentale. Sono piattaforme che generano traffico e visibilità extra industry vino e hanno aiutato a creare confidenza nell’acquisto online, che poi a cascata ha favorito tutti i piccoli DTC. Ne hanno giovato anche le piccole realtà che hanno potuto avvicinare un segmento di clientela più ampio. Queste piattaforme vanno gestite e, se ben sfruttate, portano da multi a monomarca”.
Alpenite in chiusura per Cameo: “Anche per te, un ultimo commento sulla reattività dei consumatori nei confronti di esperienze ibride di brand tra fisico (retail) e digitale (canali brand)”.
Angela Barison: “C’è uno strumento che è uscito vincitore dal covid: il QR code. Nel 2010 era qualcosa che si metteva, ma nessuno guardava. Nel 2015 era sugli smartphone, poi nel 2021 tutti hanno capito a cosa servisse. Come società abbiamo imparato a utilizzarlo, come azienda invece lo utilizzavamo nei pack di prodotto per ottenere e velocizzare le informazioni. Immaginavamo che nel post-covid sarebbe aumentato il suo utilizzo, ma di fatto non è successo. Ipotizziamo che questo fenomeno abbia attivato un messaggio diverso, ossia che basta cercare il sito o andare su Google per ottenere le stesse informazioni. La consideriamo una digitalizzazione a metà rispetto al servizio”.
Alpenite in chiusura per Ca’ Foscari: “Un commento sui focus dell’Osservatorio 2023 dell’Agrifood Management & Innovation Lab di Ca’ Foscari”.
Vladi Finotto: “In cantiere, abbiamo l’Osservatorio 2023. Continueremo a monitorare in che modo le aziende del food operano sul versante front-end, quindi nella relazione con il mercato B2B e B2C, ma ci focalizzeremo nella transizione gemella, ovvero digitale e sostenibile insieme. Questo perché gran parte della politica industriale del Paese sarà incentrata, via fondi del PNRR e allocazione della commissione europea, su queste due transizioni e saremo invitati ad investire come imprese e come sistema Paese.
Inoltre, la sostenibilità nel food decide molte partite e si ottiene attraverso l’investimento in digitale anche e soprattutto sui processi, aspetto sui cui le PMI devono fare enormi passi in avanti e farli in tempi brevi, non solo per raggiungere livelli di pulizia dei processi che le rendano interessanti per il mercato, ma anche per un sottoprodotto di livelli di efficienza che sono ad oggi imprescindibili. Con la confusione che abbiamo davanti, lavorare sul brand on e offline è importante, come consolidare la relazione con il cliente o qualsiasi recupero di inefficienza. Sarà il nostro focus, da una maggiore digitalizzazione che già vediamo nella relazione col mercato, ribaltare tuto questo dietro sottoforma digitale nel governo dei processi per diventare più sostenibili, e per raggiungere livelli d’efficienza più elevati che mettano a posto il conto economico con un mondo fuori complicatissimo.”
In questo confronto, risulta chiaro come la tecnologia, nel suo senso più esteso, sia un elemento imprescindibile nella strategia aziendale. Tuttavia, è il fattore umano ad esserne la chiave abilitante, motivo di differenziazione e successo per un brand.
Sono infatti le persone ad abilitare i processi tecnologici: processi che evolvono e si modellano in base al tempo che abitano e alle persone che ne usufruiscono, le stesse che in questo contesto storico si sono si fatte digitali, ma non per forza digitalizzate, e hanno promosso un movimento che vede l’omnicanalità come esperienza ibrida. L’impatto che ne deriva non ha solo una valenza economica, ma anche sociale, perché nel percorso di trasformazione digitale è un dovere tenere a mente chi sono gli attori principali: le persone.